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27 giugno 2015

MyNewGreatStory: La Scienza dietro la Pixar


“La formulazione di un problema è spesso più essenziale della sua soluzione, la quale può essere esclusivamente una questione di abilità matematica o empirica. Per far nascere nuovi interrogativi, nuove possibilità, per osservare i soliti problemi da un’angolazione nuova, è necessaria invece l’immaginazione creativa ed è questo a segnare il vero progresso della scienza.”
(Albert Einstein)
L’evoluzione della fisica, 1938



Vi siete mai chiesti come fanno a costruire mondi fantastici e personaggi credibili nei film della Pixar? Tutto ciò che vediamo è merito solo dall’arte? O forse è merito anche della fisica e della matematica unendosi al processo animato? La risposta è l’unione di arte e tecnologia. Non a caso la “computer art” nasce proprio negli anni ’60 per simboleggiare questo matrimonio. Da un lato c’erano gli scienziati e i ricercatori che trasformavano in arte i propri esperimenti, dall’altra gli artisti che volevano creare un nuovo modo di combinare immagini e musica, andando oltre la solita tavolozza di colori e la scala dei suoni tramite il computer. Questi primi pionieri volevano rivoluzionare il modo di vedere le cose, rompere le regole, essere anticonformisti e ribelli. L’obiettivo comune era quello di creare un mix tra la psiche umana e la macchina, di aprire una nuova strada di sperimentazione tra immagini, spazio, tempo e musica, di esplorare nuove possibilità creative attraverso l’illusione del movimento.

John Whitney - Catalog - 1961
La squadra Pixar ha una ricetta ben precisa per realizzare il miglior film: arte immaginativa e matematica creativa. È come preparare un’ottima zuppa con una squadra di grandi chef e sous-chef, ognuno con un suo compito ben preciso, ricca di immaginazione e buone idee, con ingredienti sani e saporiti mescolati con la miglior qualità tecnica. Come ripete sempre John Lasseter: “I computer non creano animazioni al computer più di quanto una matita crea animazioni a matita. Ciò che crea l’animazione al computer sono gli artisti”. Edwin Catmull, Alvy Ray Smith, Loren Carpenter, Ralph Guggenheim, Rob Cook, Bill Reeves, Eben Ostby, David Salesin, Craig Good e Sam Leffler sono alcuni dei tecnici informatici che hanno contribuito alla crescita della tecnologia Pixar nel reparto della Lucasfilm chiamato Computer Graphics Group. Essi tradussero i principi di aritmetica, geometria e algebra in programmi capaci di gestire la fisica e di realizzare oggetti tridimensionali.

Lucasfilm Computer Graphics Group - 1985

Per capire al meglio ciò che vi è dietro ogni tecnologia animata, la Pixar si mette in gioco in collaborazione con il Museo della Scienza di Boston per realizzare una nuova mostra sulla tecnologia in parallelo alla mostra sull’arte “PIXAR: 25 Years of Animation” dal titolo “The Science Behind Pixar” che aprirà i battenti il 29 giugno 2015 fino al 10 gennaio 2016 e poi girerà gli States dal California Science Center, al Science Museum del Minnesota, fino all’Oregon Museum of Science and Industry. La mostra analizza in un percorso visivo e interattivo l’unione di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica dettato dall’acronimo STEM al servizio degli artisti e dei tecnici informatici della Pixar. La mostra è suddivisa in 8 sezioni distinte ognuna focalizzata su un passaggio del processo filmico: la modellazione (modeling), l’armatura  del personaggio (rigging), le superfici (surfaces), l’ambiente ed i movimenti di camera (sets & cameras), l’animazione (animation), la simulazione (simulation), la fotografia (lighting), il processo di calcolo (rendering). Il visitatore potrà immergersi nell’intera pipeline di produzione e nei concetti utilizzati ogni giorno da tecnici ed animatori attraverso schermi e giochi interattivi legati ad ogni attività del processo.

The Museum of Science, Boston


Come racconta Ed Catmull: “The Science Behind Pixar” è il dietro le quinte del “come” si creano i film Pixar. La mostra interattiva offre alle persone l’opportunità di imparare il lavoro giornaliero di ogni filmmaker per fargli capire anche le problematiche di ogni processo. È una grande dimostrazione di quanta creatività ed immaginazione viene utilizzata nella scienza, nella tecnologia, nell’ingegneria, nell’arte e nel pensiero matematico per unire il processo filmico. Walt Disney quando iniziò la sua avventura, inventò lo storytelling animato unendolo alle nuove tecnologie dell’epoca. Ogni invenzione, dal suono al colore alla xerografia la adattò ai suoi film. Poi quando morì tutta questa cultura si perse. Ciò che i manager di quel tempo non capirono fu che grazie all’energia e alla fusione di arte e tecnologia, gli eventi potevano migliorare. Poi arrivarono i computer e fu proprio il nipote di Walt, Roy Disney Jr., a capire che la Pixar potesse essere di aiuto alla Disney. Da qui nacque il nostro rapporto: portare la nuova tecnologia informatica nel mondo animato tradizionale. Per anni li abbiamo aiutati, ma contemporaneamente abbiamo lavorato all’animazione 3D. Il risultato è quello che vedete qui, un mix di artisti e di tecnici che si danno forza e vengono fertilizzati in maniera incrociata da scienza e arte e tutto ciò continua ancora oggi. Il nostro primo film fu “Toy Story” (1995), il primo ad essere animato al computer. I personaggi erano di plastica. Così nel corso degli anni abbiamo dovuto imparare e capire come realizzare la pelle di un umano e come rendere il giusto “look and feel” del fogliame di una pianta o la fluidità dei capelli agitati dal vento. Lo scopo della mostra che vi è qui a Boston, è quello di far capire al visitatore che vi è una quantità enorme di scienza creativa, di matematica, di questioni percettive e scientifiche che sono parti integranti di quello che serve per fare un film Pixar e se si è fatto un ottimo lavoro, il pubblico non pensa mai a quello che vi è dietro. Quello che stiamo cercando di fare con questa mostra è celebrare la scienza e dire, ok, questi scienziati e matematici sono parte integrante della nostra cultura creativa. Non solo perché ci stanno fornendo nuovi strumenti, ma soprattutto perché stimolano gli artisti e gli storyteller a nuove idee.”

Ed Catmull
Per esempio nella sezione “ambiente e movimenti di camera” (sets & cameras) i visitatori posso scoprire come immedesimarsi nella visione di un insetto nel film “A Bug’s Life - Megaminimondo” (1998) attraverso le inquadrature e il design del grande set naturale. I visitatori poi potranno capire come le sculture digitali vengono realizzate sulla base degli schizzi degli artisti nella sezione “modellazione” (modeling) ed esplorare “la fotografia e l’illuminazione” (lighting) per scoprire come gli artisti della Pixar hanno affrontato  la creazione dell’acqua con la luce virtuale nel film “Alla Ricerca di Nemo” (2003). Nella sezione “armatura dei personaggi” (rigging) vengono mostrati come i modelli sono realizzati da uno scheletro virtuale per consentire agli animatori di aggiungere movimento, e in “superfici” (surfaces) i visitatori potranno immergersi nelle tecniche di colorazione e texture per ogni superficie di ogni oggetto, mondo e personaggio del film, così essere aiutati da Edna Mode ad “animare” (animation) una scena del film “Gli Incredibili - Una normale famiglia di supereroi” (2004) o “renderizzare" (rendering) una scena di “Cars - Motori Ruggenti” (2006) trasformando una scena 3D in una immagine 2D per il cinema. I visitatori avranno anche la possibilità di fare una foto con i modelli giganti di molti dei loro personaggi preferiti tra cui Buzz Lightyear, Dory, Mike e Sulley, Edna Mode, e WALL•E.


























La tecnologia è dunque il secondo elemento fondante della cultura pixariana che come ci ricorda Ed Catmull è sostenuta “dalla miscela di arte e scienza che provoca le cose per andare sempre avanti al fine di realizzare storie più forti in mondi più credibili.”


Fotografie di Greg Cook, Olga Khvan e Mark Bernsau ©

10 giugno 2015

MyNewGreatStory: Un bimbo di legno di nome Pinocchio

“C'era una volta...
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. 
No, ragazzi, avete sbagliato. 
C'era una volta un pezzo di legno.” 

(Carlo Collodi, Le Avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino, 1883)
Grazie alle abili mani dell’artigiano Geppetto, un nodoso ceppo di legno diviene marionetta. Il suo nome è Pinocchio, un burattino che ha un sogno: diventare un bambino in carne ed ossa. Walt Disney reinventò la favola dell’italiano Carlo Collodi, “Pinocchio”, per costruire il suo secondo lungometraggio di animazione. Un film epico, visionario ed imponente soprattutto nella sua realizzazione tecnica; doveva infatti proseguire il filone delle fiabe dopo il successo del suo primo film “Biancaneve e i sette nani” (1937). 


A raccontarci in maniera analitica questa incredibile produzione è lo storico J. B. Kaufman, nel libro dal titolo “Pinocchio: The Making of the Disney Epic” edito dal Walt Disney Family Museum Foundation. Il volume ripercorre la storia completa della sua affascinante realizzazione, riccamente illustrato con immagini che celebrano la magia visiva della storia di “Pinocchio” (1940). Sulla base di anni di ricerche con gli archivisti degli studi Disney, questo libro ripercorre ogni passaggio, dalle radici della fiaba italiana del 19° secolo, fino all’idea dello studio Disney, che con grande sforzo produsse il film nel periodo della seconda guerra mondiale. Il lettore potrà immergersi in questo appassionante racconto attraverso rari bozzetti, disegni, artwork e foto della lavorazione del film.

J. B. Kaufman alla presentazione del suo libro in Academy a Los Angeles
One night, a long time ago…” vicino a Firenze un giornalista ed educatore Carlo Lorenzini in arte Carlo Collodi inizia a scrivere il racconto originale apparso nel “Giornale per i bambini” del 1883 col titolo “Le Avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino”. Kaufman ne analizza le versioni in lingua inglese, le prime versioni teatrali e quella cinematografica dei primi del ‘900, il “Pinocchio” (1911) di Ferdinand Guillaume.



Carlo Collodi

Walt Disney lesse questa storia e come raccontarono i suoi collaboratori “letteralmente si ruppe le budella dall’entusiasmo”, infatti nel 1937 prese la decisione di produrre il film e di sviluppare la storia. Il film fu adattato da Aurelius Battaglia, William Cottrellm, Otto Englander, Edman Penner, Joseph Sabo, Ted Sears e Webb Smith dal libro di Collodi. La produzione fu supervisionata da Ben Sharpsteen e Hamilton Luske e le sequenze del film vennero magistralmente dirette da Norman Ferguson, T. Hee, Wilfred Jackson, Jack Kinney e Bill Roberts. Disney mise in campo i più importanti animatori dello studio quali Frank Thomas, Milt Kahl, Ollie Johnston, Arthur Babbitt, Bill Tytla.





Nella primavera del 1938 Walt Disney fermò la produzione per riscrivere nuovamente la storia con ulteriori revisioni che continuarono fino al 1939 per migliorare alcune sequenze. Il vero problema di Pinocchio infatti fu l’adattamento perché il romanzo di Collodi aveva una storia molto rigida soprattutto sulle personalità dei personaggi. Così si decise di modernizzare l’intera storia. Nel gennaio del 1938 Frank Thomas e Ollie Johnston iniziarono a fare i primi test sul design del piccolo bambino di legno dal un lungo naso e con in testa un berretto. Così Milt Kahl rimodernò ancora di più la loro idea dandogli quel tocco da bambino più che da marionetta di legno, un personaggio innocente, ingenuo e molto timido. Come ricorda lo storico Russel Merrit: “Ammorbidendo i fili di Pinocchio, espandendo e gonfiando le guance, il pagliaccio-elfo si trasformò in un bambino timido dagli occhi spalancati”. Walt Disney volle anche trovare un compagno di strada per Pinocchio e scelse il Grillo, personaggio minore nel racconto di Collodi. Il Grillo Parlante divenne la sua coscienza, colui che lo doveva seguire e consigliare nel suo percorso di formazione. Fu disegnato da un grande animatore quale Ward Kimball che lo costruì come un piccolo ometto con una testa d'uovo senza orecchie.









In quell’anno nacque un nuovo dipartimento costruito all’interno degli studios, il “Character Model Department”, il dipartimento di progettazione e modellazione dei personaggi, dove vennero realizzate le maquette e il design di ogni personaggio a cura di Joe Grant, Jack Miller e Bob Jones. Kaufman analizza ogni cosa, dai model sheet (i fogli modello) alle maquette, ad ogni costruzione dei personaggi, da Geppetto al Grillo Parlante, dal gatto Figaro a Lucignolo, da Mangiafuoco alla Fata Azzurra. In questo dipartimento vennero messi a fuoco i caratteri della storia con una propria personalità grazie ad artisti e talenti vocali esterni che li portarono alla vita.

















Per l’aspetto del design pittorico, del layout e del background Kaufman studia alcuni artisti quali Albert Hurter, Gustaf Tenggren e altri importanti pittori concettuali dello studio Disney che costruirono il mondo visivo di Pinocchio. Essi furono influenzati da pittori come Arthur Rackham, Edmund Dulac, John Bauer, con un “look and feel” gotico e grottesco delle illustrazioni europee. L’intento era quello di costruire il mondo di Pinocchio come un “piccolo mondo antico” con accenti alla cultura dell’artigianato europeo, traendo spunto da un villaggio bavarese tedesco quale Rothenburg ob der Tauber. Walt Disney volle anche legarsi alla cultura americana per il paese dei balocchi ispirandosi agli edifici Trylon e Perisphere, padiglioni della Fiera Internazionale di New York 1939-1940.











L’analisi di Kaufman non si sofferma solo sulla parte visiva, ma anche su quella musicale narrandoci della storia della colonna sonora realizzata dai compositori Leigh Carline e Ned Washington e delle canzoni conosciute del film quali “Una stella cade” vincitrice di un Oscar come miglior canzone, "Fai una fischiatina” e “Hi-Diddle-Dee-Dee”.



Pinocchio non fu solo un film con un livello narrativo molto elevato, ma fu anche uno dei film più costosi dello studio Disney proprio per le nuove tecnologie utilizzate. La prima fu l’utilizzo ed il brevetto di una nuova macchina legata alla prospettiva e al movimento chiamata “multiplane camera”. Con questa nuovo macchinario, poi utilizzato anche nelle successive produzioni, lo studio elaborò nuove tecniche di ripresa come la profondità di campo, conquistando il settore degli effetti animati, dando movimento realistico a veicoli con la tecnica del rotoscoping animation (ricalco dinamico) inventata dai competitor dello studio di animazione dei fratelli Fleischer, agli elementi naturali come la pioggia, i fulmini, la neve, il fumo, le ombre e l’acqua.







Il film uscì nel mese di febbraio del 1940 godendo di grande popolarità sia a New York che a Hollywood soprattutto per quanto riguarda la critica. Il film ebbe inizialmente una tiepida risposta al botteghino a causa della guerra che stava devastando il mondo. La successiva distribuzione consacrò il film. Grazie a questo successo uscirono numerose pubblicazioni illustrate edite da Random House sulla storia di Pinocchio e su ogni singolo personaggio fino ai Paint Book.








Nel corso dei decenni successivi, Pinocchio trovò il suo pubblico, stabilendo un posto di prim’ordine nella storia del cinema. Il personaggio del gatto Figaro e del Grillo Parlante ebbero lunga vita soprattutto per altri short dello studio che servirono a tramandare l’incredibile storia di Pinocchio. Uno dei principali studiosi di cinema di tutto il mondo, Russell Merritt, conclude il volume con uno speciale dal titolo “Disney’s Byzantine lumber number” offrendo le sue profonde intuizioni su Pinocchio e il suo posto d’onore nella cultura popolare. Merritt vuole disegnare un parallelo con il mondo della letteratura, del teatro, della progettazione grafica, una nuova prospettiva di metamorfosi dell’uomo per le generazioni future.





Grazie a Pinocchio e alle sue incredibili avventure anche noi evolviamo, imparando a vivere il presente con l’esperienza della vita quotidiana. Pinocchio impara ad essere umile, guardando oltre, sperimentando la curiosità, in una metamorfosi, che tutti noi da bambini abbiamo provato e che viviamo giorno per giorno, unendo immaginazione e realtà.


© Copyright immagini Walt Disney Archives