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3 febbraio 2011

Rapunzel, tra tradizione e modernità


Rapunzel, uscito lo scorso 26 novembre 2010 e rimasto nelle sale italiane per oltre un mese, mentre ancora prosegue il suo giro del Mondo, figura come cinquantesimo lungometraggio animato dei Walt Disney Animation Studios. In questo film si compie effettivamente un percorso storico, artistico e produttivo della Casa d’animazione.

Lo stile visivo iniziale di riferimento è quello pittorico ispirato ai dipinti di Fragonard e l’aspetto finale delle scene può dare l’effetto di quadri tridimensionali in movimento. Il risultato finale del film così come lo vediamo ora è passato attraverso una lunga lavorazione che prevedeva varie versioni della fiaba dei fratelli Grimm, Raperonzolo. Una particolarmente cupa, vicina alle atmosfere della storia originale; l’altra al contrario trasportata nel mondo moderno e quasi una parodia della fiaba. Anche la tecnica usata è stata discussa: Si è voluto che il film fosse animato tradizionalmente con disegni fatti a mano mentre poi si è cercato l’uso di una nuova tecnica che fondesse la precisione dei dettagli dell’animazione e disegno manuale con la definizione e gli effetti dell’animazione digitale in 3D.

I dettagli dei disegni manuali, successivamente digitalizzati, si notano soprattutto nelle figure umane, credibili e praticamente senza l’effetto plastificato e poco realistico di altre figure umane in animazione digitale precedenti, o comunque finalmente realistiche e credibili senza sembrare pupazzi stilizzati. Le animazioni sono fluide e naturali, i colori pittorici, quasi come le intenzioni dei bozzetti iniziali rivelando una ricchezza che dà all'occhio un impatto nuovo e coinvolgente. L’animazione, e soprattutto quella della protagonista Rapunzel, risente della supervisione dello storico animatore Glen Keane, già animatore, tra gli altri personaggi, de la Bestia, de La Bella e la Bestia. La tridimensionalità di alcuni elementi controlla ulteriormente l’amplificazione di certi effetti spettacolari, secondo i recenti canoni del cinema 3D.

La versione della storia è fedele alla fiaba originale ma con un approccio più moderno e divertente che prosegue la leggerezza dei film Disney dagli anni Novanta in poi ma soprattutto sembra non poter prescindere, secondo le decisioni produttive degli ultimi anni, dagli atteggiamenti più irriverenti e disimpegnati della concorrenza dei film DreamWorks digitali. La regia è di Byron Howard e Nathan Greno i giovani registi che già avevano diretto Bolt del 2008, voluti dal presidente John Lasseter, capo anche dell’innovativa Pixar, per dare linfa nuova nel proseguimento della tradizione disneyana. Sicuramente non sarà stato facile adattare alla durata di un lungometraggio la vicenda di una fanciulla rinchiusa in una torre in attesa di poter uscire, ma questa è una sfida che la Disney ha sempre raccolto, arricchendo di idee storie spesso molto brevi in origine. Così la protagonista, Rapunzel, è una quasi donna incline a farsi valere e combattiva, agile anche grazie ai poteri dei suoi magici capelli. Il protagonista maschile, Flynn Rider, è un ladro, scanzonato e sbruffone e lo vediamo spesso in modo da avere un ruolo narrativo più ampio.

Rapunzel vive con Gothel, che la rapì da piccola facendosi credere sua madre e nascondendole di essere la principessa. Il loro rapporto è piacevolmente ambiguo per lo spettatore.

Si basa su un affetto che sicuramente Rapunzel prova per Madre Gothel ma anche su una frustrazione dovuta alla proibizione di uscire dalla torre. Madre Gothel è un personaggio cattivo interessante, di grande fascino, anche estetico, che fonde la cattiveria espressa in modo subdolo e calibrato, con parentesi di follia, con un affetto che sembra provare per la sua bambina prigioniera.

Meritano una menzione i caratteristi non protagonisti, i furfanti della taverna, come esempio di espressione di apparente antitesi di ciò che in un film del genere si vorrebbe celebrare: bellezza, bontà, sogni e ideali. Particolare è il discorso sui compagni animali dei personaggi umani. In Disney hanno spesso avuto funzione di spalle, soprattutto mute, e fedeli alle loro caratteristiche animali. Qui un cavallo e un camaleonte non parlano ma hanno tante espressioni e movimenti da atteggiarsi comunque come umani andando oltre, soprattutto il cavallo, il ruolo di discreti confidenti dei protagonisti. Una relativa modernità del film, rispetto ad una tendenza già in corso, che si nota anche nel montaggio che a volte stacca in modo da compilare sequenze veloci di alcuni momenti, dando un effetto a volte di clip, a scopo umoristico. Come durante le faccende e i pensieri di Rapunzel e durante alcune canzoni.

La colonna sonora torna nelle mani di Alan Menken, il compositore che da La Sirenetta ha collaborato al cosiddetto Rinascimento Disney anni Novanta. Nonostante avesse condito vari film precedenti con pezzi da musical degni di Broadway, in Rapunzel Menken ha scelto uno stile più acustico, meno orchestrale, con chitarre, che mescola, per sua affermazione, le influenze di Joni Mitchell, Cat Stevens e il rock folk degli anni Sessanta, con qualcosa di medievale. Le sonorità e i respiri dei momenti da musical affiorano comunque, anche se discretamente, soprattutto nelle canzoni di Madre Gothel, un personaggio più teatrale e vicino all’enfasi delle grandi cattive Disney.

Nella scena in cui Madre Gothel, cantando “Mother knows best” sconsiglia a Rapunzel di lasciare la torre c’è un gioco effettivo di luci e ombre che simboleggia la volontà di Gothel di offuscare la mente di Rapunzel con le paure sul mondo esterno. Rapunzel vedrà finalmente la realtà, e la sualuce nella scena, e canzone, “I see the lights”.

Anche la colonna sonora strumentale è degna di nota. In particolare la “Kingdom Dance” è un esplosione di gioia in cui Rapunzel coinvolge i passanti e si diverte con Flynn, iniziandolo a conoscere meglio. Questo ballo, su musica folk con influssi celtici, è un esempio esplicito, e forse il migliore, di come questa colonna sonora non sia curata solo nelle canzoni.

Gli elementi della storia e i personaggi obbediscono al loro ruolo narrativo ma allo stesso tempo sembrano ironizzarlo con riferimenti anche extradiegetici in cui, per esempio, Madre Gothel, in certi momenti di tensione con Rapunzel, le chiede se vuole che lei “diventi la cattiva”, come se i personaggio fossero consci di far parte di una messinscena dalla quale a volte sanno estraniarsi. Le caratteristiche dell’eroina che compie le sue faccende domestiche in attesa che cambi il suo destino, sono raccontate in una canzone ritmata, moderna e rock di Rapunzel: “When will my life begin”, in cui, come in un videoclip, balla, fa ginnastica e molte attività. Non mancano momenti più tradizionali, come un duetto d’amore su una ballata suggestiva, la già citata “I see the lights”, ma c’è una buona dose d’avventura e di azione. Anzi da questo punto di vista i personaggi vengono spesso sbattuti qua e là mentre cadono e prendono colpi con un effetto ancor più visibile, trattandosi di animazione. Questi elementi insieme a dialoghi alquanto disinvolti e moderni sembrano voler impedire al film di prendersi troppo sul serio. Si raggiungono punti emotivi ma spesso qualcosa sdrammatizza, soprattutto la cornice di inizio e fine della vicenda, portando le cose sul piano del divertimento, anzi facendo calare nel finale il crescendo emotivo portato avanti. Sembra che dall’uscita del fenomeno Shrek raccontare una storia in modo serio, epico, emozionante e fiabesco sia qualcosa di forse troppo tradizionale. Anche Rapunzel sembra voler seguire questa tendenza, e se non è una parodia sembra comunque che l’ironia debba diventare una regola, al cinema e nel mercato probabilmente, piuttosto che un’occasionale irriverenza più affine alla concorrenza. La produzione Disney deve aver voluto ciò, in un non facile compromesso tra scelte artistiche e quelle di marketing, dopo che il film dell’anno scorso La Principessa e il Ranocchio, non ha ottenuto tutto il successo sperato. Così la promozione di questo Rapunzel ha teso ad evitare riferimenti alla tradizione delle fiabe e delle principesse. Anche il film effettivo risente della volontà di un alleggerimento verso l’avventura e il divertimento, dovuto probabilmente al tentativo di recuperare un pubblico più ampio. Ciò impedisce forse a Rapunzeldi essere un capolavoro d’animazione completo, anche se il livello è decisamente più alto degli ultimi dieci anni dell’animazione Disney, sia per una tecnica innovativa, sia per una credibilità di personaggi e storie che coinvolgono nuovamente il pubblico. Facendo sperare che lo storico Studio Disney possa tornare a fare scuola, pur in un più ampio e moderno panorama cinematografico, portando avanti tradizione e innovazione.